Prequel: Night School 1987 – Seconda Parte

Ecco la seconda parte della nuova short story scritta da CJ sul mondo di Night School. Ci troviamo nel 1987, Isabelle e Nathaniel frequentano la Cimmeria Academy assieme a Raj e alla mamma di Allie. Cosa succederà tra Isabelle e Raj? E qual era il rapporto tra lei e il suo fratellastro Nathaniel? Scopritelo leggendo il nuovo capitolo!

Potete leggere la prima parte a questo link.

Night School 1987 – Seconda Parte

Quella notte, Isabelle lasciò la sua stanza poco prima della mezzanotte. Aveva soppesato per ore i pro e contro sull’andare o non andare, ma, come Elizabeth doveva aver previsto, il desiderio di essere a un falò con Raj aveva messo a tacere la sua coscienza e la sua abitudine a fare la brava.

Mentre stava per uscire si fermò a controllarsi nello specchio, il volto riflesso era quasi irriconoscibile. Fedele alla sua promessa, Elizabeth era passata  dopo cena con le tasche piene di cosmetici. Mentre dallo stereo nell’angolo della stanza risuonava la voce di Whitney Houston che cantava “I want to dance with somebody…” a tutto volume, si era seduta e le aveva mostrato come fare il contorno occhi con la matita, mettersi l’ombretto sulle palpebre, e dare volume alle ciglia con il mascara.

“Tutto ciò che devi fare,” aveva detto, passando il phard sulle guance di Isabelle, “è far risaltare le tue parti migliori.” Una volta finito, si era appoggiata all’indietro e aveva sorriso.

“Voglio dire, sono brava. Se Raj non ti nota ora, ha bisogno di un paio di occhiali.”

Ora anche Isabelle assomigliava alle altre ragazze perfette. I suoi particolari occhi ambrati, truccati con l’eyeliner, sembravano improvvisamente più grandi ed espressivi. Non aveva mai veramente notato le sue labbra prima, ma ora parevano stranamente formose. I suoi capelli indomabili per una volta erano quasi sotto controllo, ma erano voluminosi il doppio della dimensione normale dopo che Elizabeth l’aveva fatta mettere a testa in giù e spruzzato mousse tra i suoi riccioli.

“Sembro la cantante di riserva dei Wham”, mormorò tra sé e sé. Tuttavia, non si tolse il trucco. Se fosse servito a ottenere l’attenzione di Raj, allora l’avrebbe fatto.

Ci aveva messo un’infinità a decidere cosa indossare, anche se la scuola le dava poche scelte. Non aveva senso tenere l’uniforme, così si era cambiata nei leggings attillati che usava per educazione fisica, con una camicetta bianca oversize e stivaletti bassi. Indossò sopra la camicia un blazer leggero che aveva portato da casa e si mise i grandi orecchini a cerchio d’argento per catturare la luce. Una volta finito, si spruzzò il profumo Halston che sua madre le aveva regalato per il suo compleanno.

Se non altro, aveva un aspetto (e un odore) più interessante del solito.

Non sapeva perché ci provava così tanto, ma qualcosa le disse che quella sera sarebbe stata importante. Aveva la sensazione che quella festa sarebbe stata decisiva.

Quello che Elizabeth aveva detto prima di andarsene l’aveva fatta riflettere. Una volta che Isabelle fu pronta, aveva indugiato sulla porta.

“Sai, Izzy, Raj è un bravo ragazzo, ma può darsi che non ti meriti.”

Isabelle era rimasta così scioccata che ci era voluto un momento per rispondere. “Che cosa intendi?”

“È solo che… sei tu. Sei carina, intelligente e ricca.” Alzò una mano per fermare le obiezioni di Isabelle. “So che non credi che sia importante, ma conta invece. Hai tutto da offrire. Se non lo vede, meriti di meglio. Ci sono tanti bravi ragazzi là fuori. Trovatene uno che ti apprezzi. Va bene?”

C’era un accenno di pietà nella voce di Elizabeth, ed era stata la parte peggiore. Isabelle voleva difendersi, ma la verità era che aveva aspettato per anni che Raj la notasse.

Tutti sapevano che aveva una cotta per lui, e lui semplicemente ignorava la cosa.

Elizabeth aveva ragione. Ad un certo punto, aveva rinunciato a vederlo come più di un amico.

La parte brutta dell’amore è che non puoi fare in modo che qualcuno ti ricambi per forza. Ma cavolo, potevi provarci.

“O la va o la spacca”, si disse. Si tolse gli stivali e li tenne in mano mentre usciva dalla stanza e si chiudeva lentamente la porta alle spalle.

Lo stretto corridoio era silenzioso e buio. La maggior parte delle luci erano bruciate e nessuno si era preoccupato di sostituirle. Conosceva la scuola così bene che non aveva bisogno di vedere dove andava. Camminando scalza in punta di piedi, superò decine di porte uguali alla sua, ognuna con sopra un numero dipinto in nero lucido.

Alla fine del corridoio, si affrettò verso una stretta scala che scendeva al pianerottolo del primo piano, dove una fila di statue di marmo rilucevano come spettri nel chiaro di luna. Cercò di non guardarli mentre scendeva la scala principale. C’era qualcosa in loro che le dava i brividi. Erano troppo espressivi. Quando era più piccola si era convinta che cambiavano posizione ogni volta che voltata loro la schiena per guardarla più da vicino. Ora era troppo cresciuta per crederci ancora, eppure cercava di non guardarli mai direttamente.

Aveva appena raggiunto il gradino più basso quando qualcosa scricchiolò sopra la sua testa.

Si congelò, una mano stretta sul corrimano di quercia usurato, e alzò lo sguardo. Il chiaro di luna proiettava attraverso le finestre alte delle ombre scure intorno alle statue, dando l’illusione che ondeggiassero e si spostassero nel buio.

Le sue braccia furono percorse dai brividi. Amava la Cimmeria, ma con le ragnatele e le finestre incrinate, e il modo in cui i tubi costantemente emettevano suoni strani, come se una persona stesse camminando tra le pareti, la scuola di notte era veramente spaventosa.

Avrebbe dovuto prendersi a calci per non essere uscita insieme a Elizabeth, ma aveva dubitato se andarci davvero fino all’ultimo.

Tutti gli altri erano già al castello da quasi un’ora.

Stupida indecisione, pensò mentre sgattaiolava nell’oscurità.

Non riusciva a vedere nessuno sopra di lei. E nulla si mosse dal dormitorio nell’ala degli insegnanti, proprio di fronte all’atrio in cui si trovava ora.

Forse l’aveva solo immaginato.

Lasciò la presa sul corrimano e scese l’ultimo gradino. All’improvviso, un forte boato proveniente dai piani superiori interruppe la quiete. Un rumore di qualcosa che cade, o viene spinto. Non voleva sapere che cosa avesse provocato quel suono.

Si mise a correre, scivolando per via dei calzini, e sfrecciò nell’ampio corridoio, oltre la sala da pranzo e la sala comune sinistramente silenziose a quell’ora, fino alla sala d’ingresso dove il pavimento si trasformava in vecchia pietra, fermandosi solo quando arrivò di fronte all’alta porta ad arco. Annerito dalla fuliggine e dal tempo, si pensava che fosse vecchio quanto la scuola stessa.

Il meccanismo della serratura era un vecchio e un pesante dispositivo di ferro, che per aprirlo (lo sapeva per esperienza passata) bisognava tirare un fermo in alto e allo stesso tempo girare la manopola sottostante, e poi tirare verso l’interno senza lasciar andare nessuno dei due.

S’infilò gli stivali sotto un braccio e afferrò la serratura, ma le sue mani erano impacciate dal nervosismo e non riusciva a tenerlo. Le sue dita scivolarono dalla serratura tre volte prima che riuscisse finalmente a sbloccarlo e spalancare la porta.

L’aria fresca della notte entrò portando con sé il profumo dell’estate inglese fatta di aghi di pino, erba tagliata e fiori della notte. Senza guardarsi alle spalle, si affrettò ad uscire e si girò per tirare la porta, che si richiuse sbattendo forte e interrompendo la quiete. Era troppo tardi per stare a preoccuparsi di cose del genere.

Si precipitò giù per i gradini di pietra fino al vialetto, che curvava davanti alla scuola come un punto interrogativo. La ghiaia si conficcò sotto i suoi piedi come piccoli coltelli freddi e saltellò da un piede all’altro infilandosi gli stivaletti.

Una volta indossate le scarpe, si guardò intorno. Fece un profondo respiro carico di  eccitazione. Era quasi mezzanotte, ma si sentiva sveglissima, quasi euforica. Dall’alto, la luna piena illuminava la scuola con la potenza di un centinaio di faretti. Poteva vedere distintamente ogni mattone rosso in stile vittoriano rilucente nel suo bagliore. Ammirare le ripide punte del vecchio tetto. Le forme sporgenti dei camini. Le poche finestre dell’ultimo piano illuminate degli studenti ancora svegli. Davanti a lei, il viale curvava intorno all’edificio verso la foresta, e più in là alla collina con il vecchio castello in cima.

Un senso di anticipazione le contrasse il petto e per qualche motivo le venne da ridere. Non era il tipo che infrangeva le regole, eppure era uscita quella sera. Non sarebbe riuscita a dormire in ogni caso, non con la luna così.

Un uccello attraversò il cielo in volo, proiettando la sua ombra rapida lungo l’erba, una macchia scura sul verde. La sua vista la riscosse.

Cominciò a correre con passo sicuro, adeguando l’impostazione delle spalle, lungo il bordo del vialetto della ghiaia, dove i suoi piedi avrebbero fatto meno rumore. Superò l’ala delle aule e prese il sentiero che si snodava verso gli alberi. Solo allora rallentò in una passeggiata veloce.

Si era dimenticata di portare una torcia elettrica, ma non ne aveva bisogno. La luna illuminava il terreno. Poteva vedere gli aghi di pino sui rami – piccoli, frastagliati, e definiti. Alla sua sinistra la cupola bianca spettrale del padiglione si innalzava sopra gli alberi.

Tutto sembrava normale, ma la notte creava una sensazione di suspense. Come se stesse per accadere qualcosa.

“Sto perdendo la testa”, sussurrò a se stessa. Non era il tipo che si affidava al sesto senso.  

Era più razionale. Non credeva negli oroscopi o nei segni. Non le interessava la predizione del futuro. Niente la spaventata. Era completamente concentrata sull’essere la più brava della classe, e aveva sempre creduto che tutto il resto fosse solo una distrazione inutile.

Ecco perché di solito non andava a quelle feste. Aveva un piano per la sua vita e questo non includeva l’alcol o le punizioni o, del resto, ereditare il denaro di suo padre. Non l’aveva mai detto a Elizabeth, perché sapeva che avrebbe riso di lei, ma lei non voleva averci niente a che fare. Voleva seguire le orme della sua madrina. Voleva avere il suo posto nel consiglio di amministrazione, come Lucinda in mezzo a tutti quegli uomini, e dimostrare che una donna poteva fare tutto quello che facevano loro. Voleva gestire una società che dava alla gente un buon posto di lavoro, e migliorare la loro vita. Soprattutto, voleva essere un membro del Parlamento. Così avrebbe potuto cambiare le leggi ingiuste.

Era cresciuta con la consapevolezza delle continue proteste nel paese sulle decisioni del governo. Se molte persone erano abbastanza sconvolte da scontrarsi con la polizia, allora qualcosa non andava. E voleva sistemare le cose.

Elizabeth le diceva sempre che stava sprecando la sua giovinezza. E forse era così, ma lei in realtà non la pensava in quel modo. Pensava che si stesse preparando a cambiare il mondo.

È quello che dovrei fare ora, si disse. Avrebbe dovuto essere nella sua stanza a prepararsi per le lezioni del giorno successivo, invece di inseguire i ragazzi.

Improvvisamente, si rese conto che tutto era diventato più scuro. Si guardò intorno, sorpresa di scoprire che mentre era sovrappensiero, era entrata nel bosco e aveva iniziato a risalire la collina. Gli alti rami dei pini silvestri si distendevano sopra la sua testa, formando una copertura che bloccava la luce della luna.

Affrettò il passo, cercando di non guardare troppo a lungo le ombre sotto gli alberi. Pensò agli altri, già al castello, seduti intorno al fuoco a bere il vino che avevano rubato dalle cantine all’oscuro degli insegnanti, o il gin che avevano nascosto nelle valige. Desiderava essere lì con loro adesso.

Fu allora che udì dei passi dietro di lei che si avvicinavano rapidamente. Trattenne il respiro. Qualcun altro doveva essere in ritardo. Potevano fare la strada insieme.

Eppure, non rallentò. I passi continuarono a risuonare costanti alle sue spalle.

“Ciao?”, chiamò nel buio con voce esitante.

Nessuno rispose.

Rabbrividendo, si strinse nella giacca e attaccò a correre.

Immediatamente, i passi accelerarono. Chiunque fosse, la stava seguendo.

Isabelle lanciò un’occhiata da sopra la spalla, ma riusciva a vedere solo l’oscurità. L’inseguitore sembrava stare al passo con lei.

Sapeva che i suoni risuonavano strani nel bosco. La persona avrebbe potuto essere più lontano da lei di quanto credesse.

Oppure più vicino, sussurrò una vocina nella sua testa.

Ansimava per la corsa in salita, ma accelerò lo stesso, sperando di non udire più niente.

Ma, dietro di lei, anche la persona invisibile aveva accelerato. Poteva sentire i passi più chiaramente ora, veloci ma irregolari, e lo scricchiolio dei pezzi di ghiaia che slittavano sotto un piede mal posizionato.

Per la prima volta, ebbe paura. Qualcuno la stava sicuramente seguendo.

Chi lo farebbe? Chi lo sapeva che era qui?

Pensò a quello che Elizabeth aveva detto prima, riguardo alle persone che sapevano che la sua famiglia era ricca e volevano i suoi soldi. Se i ragazzi ne erano a conoscenza, potevano saperlo anche altre persone. Come degli estranei. Si sentiva smascherata, come se tutti i suoi segreti fossero stati rivelati.

In pochi secondi, si ritrovò a correre su per il sentiero. Non sapeva il motivo. Non era mai successo niente prima d’ora, la scuola era perfettamente sicura. Non era recintata e non c’era un cancello, ma il viale d’ingresso era stato contrassegnato come “privato” ed era a tre chilometri dalla strada più vicina. Tutto ad un tratto, però, non le sembrò abbastanza.

Perché non c’è una recinzione? Perché non siamo protetti meglio? si chiese arrabbiata, mentre si arrampicava su per la collina, incurante del sentiero irregolare.

Ci serve più sicurezza. Abbiamo bisogno di guardie…

“Isabelle! Aspetta!” Una voce maschile, con un’inflessione scozzese, ruppe la quiete.

Rallentò e si voltò senza fiato, proprio mentre Nathaniel usciva dall’oscurità dietro di lei. Sì sentì subito in imbarazzo.

“Oh, sei tu,” disse, fermandosi ad aspettarlo.

Si fermò a breve distanza, con le mani nelle tasche, e un’espressione diffidente, quasi ferita, sul suo bel viso. “Perché ti sei messa a correre?”

Era proprio da lui spaventarla a morte e poi offendersi perché aveva avuto paura.

“Non sapevo che fossi tu”, disse sulla difensiva. “È buio”.

“Non ero sicuro che fossi tu in un primo momento. Non mi aspettavo che venissi”, replicò lui. “Di solito non vai a questo genere di cose.”

“Neanche tu”, gli ricordò. “O, almeno, così pensavo.”

“Normalmente, no”, concordò. “Ma stasera sentivo che… non lo so.” Scrollò le spalle e calciò via una roccia dal vialetto verso le felci. “C’era qualcosa di diverso.”

Era strano che proprio lui volesse fare conversazione nel bel mezzo di una collina al buio, e allo stesso tempo si comportasse come se ogni parola fosse straziante.

Perché è così strano? si chiese.

“Non riuscivo a dormire nemmeno io.” Fece un gesto verso il bagliore che filtrava attraverso i lunghi rami sopra di loro. “È la luna.”

Alzò lo sguardo perplesso. “Che cosa c’entra la luna adesso?”

“È scientificamente provato che la luna piena influisce sul comportamento umano”, lo informò. “Tanti crimini vengono commessi di notte quando c’è la luna piena. E più persone muoiono.”

Fece una smorfia annoiata. “Non ho mai creduto a questa roba sulla luna. Voglio dire, come può farci del male? È solo una roccia.”

Mentre parlava, la scrutò. Avevano madri diverse, ma per la prima volta le venne in mente che nessuno sarebbe rimasto sorpreso di scoprire che erano imparentati. Avevano in comune gli zigomi alti del padre, il mento marcato, e i capelli castano dorato. La principale differenza era negli occhi. Lei aveva gli strani occhi ambrati di sua madre, mentre lui aveva lo stesso sguardo blu del padre.

“Le rocce possono far male,” rispose lei, aspramente. “Voglio dire, se ti colpiscono abbastanza forte.”

Scoppiò in una breve risata. “Beh, non posso discutere su questo.”

Ora che avevano rotto il ghiaccio, cominciarono a camminare su per la collina insieme.

Isabelle si sforzò di pensare a qualcosa da dire per riempire il silenzio. Continuava a sentire la voce di Elizabeth che diceva “non sono sicura che tuo padre ami Nathaniel così tanto”, e si sentiva una traditrice solo a ricordarlo, perché non appena l’aveva detto sapeva che era vero. Era sempre stato evidente che a loro padre non piaceva molto il suo unico figlio. Lo aveva mandato via non appena aveva potuto, e aveva trascorso il minor tempo possibile con lui. Nathaniel aveva sempre bramato un genitore che si prendesse cura di lui e, alla fine, era stata Lucinda a dargli quell’affetto. Ma era suo padre che lui voleva.

Sua madre era morta quando era ancora molto piccolo – era stato cresciuto principalmente dalle tate. Quando Isabelle era una bambina, Nathaniel era ragazzo magro dagli occhi tristi che gironzolava e giocava sempre da solo. Avevano sviluppato una sorta di amicizia quando lei era diventata abbastanza grande per giocare, ma era troppo piccola per essere una compagna di giochi vera e propria. Tuttavia, c’era stato un breve periodo in cui avrebbero potuto formare un’amicizia più stretta. Quando aveva cinque anni e lui ne aveva sette, era stata abbastanza grande per interessargli. Avevano passato quell’estate correndo intorno ai terreni della villa scozzese dove viveva il padre. Nathaniel la coinvolgeva nei suoi giochi: alla ricerca di pirati sullo stagno, a caccia di tesori sotto gli alberi.

Ma poche settimane dopo, Nathaniel compì otto anni e suo padre lo mandò in collegio. Dopo di che, non lo vide molto spesso. Tornava a casa in estate per qualche settimana, ma era quasi irriconoscibile per quanto era cresciuto e cambiato. Parlavano di rado, ma qualunque legame familiare avevano formato durante quei mesi estivi caldi era finito. Era introverso e tendeva a stare per conto suo. I suoi sorrisi non venivano più ricambiati. Poi i suoi genitori divorziarono e allora non lo vide quasi più.

A dodici anni entrò alla Cimmeria, quando lui ormai ne aveva quattordici e il divario tra di loro era troppo grande. Non dimostrava alcun interesse nel voler ristabilire qualsiasi rapporto famigliare o di amicizia con lei. Era educato ma per nulla affettuoso. L’unica cosa da fare era mantenere le distanze.

Le era sempre dispiaciuto che non fossero più uniti; lei ed Elizabeth erano diventate amiche fin da subito. Ma Nathaniel era sempre stato in disparte. Per quanto ne sapeva, aveva pochi amici. Voleva che la gente mantenesse le distanze e loro lo facevano.

A poco a poco, il silenzio tra loro si fece pesante e divenne paranoica. Temeva che lui sapesse a cosa stava pensando.

Di’ qualcosa, si esortò, in silenzio. Qualsiasi altra cosa.

“Deve essere strano per te.” La sua voce risuonò troppo alta e lui la guardò di traverso. Si affrettò a spiegare, “Voglio dire, è il tuo ultimo anno alla Cimmeria. Il tuo ultimo falò al castello, e tutto il resto.”

“Onestamente? Non vedo l’ora di uscire di qui.” La cattiveria nel suo tono la colse di sorpresa e lo guardò perplessa, mentre lui continuava. “Io disprezzo questo posto. Il preside avrebbe dovuto ritirarsi dieci anni fa. La metà degli insegnanti hanno superato l’età pensionabile, riescono a malapena a rimanere svegli a lungo abbastanza per insegnare una lezione. L’edificio si sta sgretolando intorno a noi, il parco non è curato.” Agitò una mano indicando gli alberi intorno a loro come se anch’essi fossero inadeguati. “È una scuola terribile. Ho sprecato anni qui. Anni. Tutto perché nostro padre è fissato con questo posto. No, non avrò rimpianti quando me ne sarò andato. Vorrei andarmene oggi stesso se potessi.”

“Ma devi avere degli amici qui?”, tentò, con cautela. “Sicuramente ti mancheranno.”

Lui fece una risata sprezzante. “Con chi avrei dovuto fare amicizia qui? A Eton o Harrow avrei potuto farmi degli amici. Ma papà ha insistito affinché venissi qui.” Il suo tono era arrogante, ma non c’era qualcosa sotto. Una nota di tristezza. Isabelle si chiese se sapesse tutte le cose che Elizabeth le aveva detto. Se sapeva che a suo padre non piaceva. E se questo lo faceva sentire più solo.

Improvvisamente, alzò lo sguardo su di lei. “Ma a te piace stare qui, non è vero?” Suonava come un’accusa.

“Credo di sì. Voglio dire, capisco cosa vuoi dire. Gli insegnanti sono un po’ vecchi, e l’edificio ha bisogno di essere restaurato, ma…” Guardò verso il basso dove felci ingombravano il sentiero e le fronde morbide le solleticavano le gambe. “C’è qualcosa di intrigante.”

“Qualcosa di tossico”, mormorò di rimando.

“Vorrei che qualcuno la restaurasse” disse, ignorandolo. “Che la sistemi come merita.”

Attraverso uno scorcio tra gli alberi vide un debole bagliore che illuminava l’orizzonte. Riusciva a sentire l’odore dolciastro di fumo e legna bruciata nella brezza. Il sollievo si diffuse dentro di lei. “Oh guarda! Il falò. Ci siamo quasi.”

Nathaniel fece una smorfia come se il falò fosse un’altra ridicola tradizione della Cimmeria. Indugiò sul sentiero, ma lei non lo aspettò e risalì di corsa la cima della collina fino al vecchio muro di pietra che circondava la fortezza in rovina. Si arrampicò sulle rocce senza guardarsi indietro. Una ventina di persone era riunita attorno a un fuoco ardente. Quasi immediatamente, Elizabeth la vide e saltò in piedi.

“Stavo cominciando a pensare che non saresti venuta!” Le sue guance erano arrossate da qualsiasi cosa stesse bevendo dal bicchiere di plastica che teneva in una mano, mentre con l’altra afferrava quella di Isabelle e la tirava verso il fuoco. “Caroline ci insegnerà come fare gli s’mores.” [Uno spuntino tipico americano fatto con crackers, marshmallow arrostiti e cioccolato, ndt]

Caroline era una studentessa americana in scambio culturale che era arrivata quell’autunno, portando con sé frasi curiose, musica strana, e copie della rivista Rolling Stone che gli studenti si passavano come merce di contrabbando.

Isabelle la seguì, ma poi si ricordò di Nathaniel dietro di lei e tornò sui suoi passi. “Vieni con noi…”

Non c’era nessuno.

Ad un certo punto, si era dileguato così all’improvviso come era arrivato.

“Con chi stai parlando?” Elizabeth guardò nell’ombra dietro di lei, ma non vedendo nessuno le picchiettò scherzosamente la spalla. “Stai parlando con qualcuno di immaginario.”

I suoi occhi erano brilli e strascicava leggermente le parole. Isabelle si rese conto che aveva bevuto troppo.

Forzando un sorriso, si strinse nelle spalle. “I miei amici immaginari sono i miei migliori amici. Ehi, credo che tu sia ubriaca, tra l’altro.”

Elizabeth le rivolse un gran sorriso. “Tristram ha fatto il punch e i ragazzi l’hanno portato quassù in un secchio. È delizioso.”

Isabelle le prese il bicchiere e annusò dubbiosamente. Arricciò il naso. “È quasi alcool puro. Dovresti andarci piano.”

Elizabeth si strinse nelle spalle, si riprese il bicchiere e bevve un sorso generoso. “Faccio in modo che i miei soldi non vadano sprecati.”

Isabelle guardò con preoccupazione la sua sorellastra mentre barcollava incerta verso la folla.

La seguì a distanza, attenta a dove metteva i piedi. I resti del castello erano costituiti da un vecchio edificio, le cui finestre, tetto e porte erano ormai distrutti, ma la struttura rotonda era ancora saldamente in piedi. Il resto era decaduto nel tempo, i pezzi delle antiche mura giacevano sparsi per terra.

Quando raggiunsero gli altri, Elizabeth la prese per mano e la invitò a sedersi su una grande pietra con lei.

Mentre si univa al gruppo, Isabelle osservò i loro volti eccitata, ma non c’era traccia di Raj.

“Ehi,” disse casualmente, “hai visto Raj?”

Elizabeth le rivolse uno sguardo sfuggente. “Sì, c’è qualcosa che devo dirti.” Tirò Isabelle più vicino a sé, ma la afferrò troppo forte e quasi la fece cadere. Isabelle dovette aggrapparsi alla roccia per evitare di sbilanciarsi. Elizabeth accostò la testa alla sua. “È qui”, sussurrò, “ma non è solo.” Il suo alito puzzava di vodka e succo di frutta troppo dolce.

Isabelle la guardò negli occhi, sperando che fosse abbastanza sobria da spiegarsi. Elizabeth lanciò uno sguardo significativo al castello. “È con Caroline.”

Il cuore di Isabelle affondò. Il castello era dove andavano le coppiette a pomiciare in privato.

“Oh,” disse piano.

Elizabeth scosse la testa e prese un altro sorso del drink. “Ho provato a parlargli, Izzy, ma non ha voluto ascoltarmi. È un coglione. Un coglione totale. Stai meglio senza di lui.”

Isabelle tenne gli occhi sugli stivali mentre il calore le inondava il viso. Era anche peggio di quello che aveva immaginato. Elizabeth, ubriaca e determinata, doveva aver detto a Raj che le piaceva.

Così, ora sapeva la verità, e si stava comunque baciando la bionda, abbronzata, californiana Caroline. Preparatrice di s’mores.

“Favoloso”, borbottò rivolta agli stivali, come se solo capissero il suo dolore.

Percependo il suo cattivo umore anche attraverso la foschia dell’alcol, Elizabeth prese un lungo bastone e glielo porse.

“Arrostiamo i marshmallow,” disse. Rimase a fissare il bastone perplessa, prima di iniziare a ridacchiare. “Dall’altra parte.”

Isabelle alzò la testa per guardarla. Era sempre stata un po’ pazza, ma non aveva mai visto la sua sorellastra così ubriaca.

“Ha bevuto come una spugna tutta la notte.” Una voce affettata come il vetro tagliato risuonò di fianco a lei, e lei girò a guardare il volto aristocratico di Julian le Fanult, incorniciato dai capelli biondi illuminati dalla luce tremolante del fuoco.

“Non è la sola. Sembra la festa della fine del mondo”.

“Perché nessuno l’ha fermata?” chiese Isabelle, guardando Elizabeth che lottava per infilzare un marshmallow alla fine del lungo bastone.

Lui inarcò le sopracciglia. “Hai mai provato a impedire Elizabeth Meldrum di fare esattamente quello che vuole? È come cercare di fermare un fiume dall’immettersi nel mare.”

“Ma guardala,” Isabelle fece cenno all’altra ragazza, che ora stava studiando il marshmallow alla luce del fuoco e gli sussurrava qualcosa. “Come facciamo a riportarla a scuola?

“Ci ho pensato per un po’”, disse Julian. “Penso che questa sia una di quelle serate in cui ognuno deve pensare a salvare se stesso e fregarsene degli altri. Suggerisco di depositarla al sicuro nella sala comune, coprirla con una coperta, e poi tornare in silenzio nelle nostre stanze, in modo che quando domani mattina Fergie troverà metà degli studenti anziani privi di sensi, noi saremo rannicchiati come angioletti sobri nel nostro lettuccio.”

Nonostante la sua preoccupazione per Elizabeth, Isabelle si ritrovò a sorridere. Le era sempre piaciuto Julian. Era tranquillo, ma quando parlava sapeva essere incredibilmente divertente, o calmo e tagliente. Era un’abilità ammirevole.

“Non posso lasciarla, però,” gli ricordò. “È la mia sorellastra.”

“Chi?” Elizabeth sbatté le palpebre. “Oh, io!” Sembrò contenta di questa scoperta.

“Con chi stai parlando?” Si appoggiò al grembo di Isabelle per studiare Julian. “Oh, sei tu! Sei così carino.” Gli puntò contro un dito, puntellandosi con il gomito sulla gamba di Isabelle. “Ti piace Isabelle, ma non provarci nemmeno. Lei è innamorata di Raj.” Agitò la mano avanti e indietro tra di loro. “Che sfortuna! Che sfortuna!”

Isabelle ne aveva abbastanza. Strappò il bicchiere di plastica dalla mano di Elizabeth e rovesciò il contenuto sul terreno.

“Basta alcol per te,” annunciò, spingendo via Elizabeth dal suo grembo e alzandosi in piedi mentre l’altra ragazza cominciava a protestare. “Ce ne andiamo. Sei troppo ubriaca. Ti riporto a letto prima che svieni.”

Julian si alzò per unirsi a lei. Torreggiava su di lei, nel suo metro e ottanta di altezza. “Lascia che ti aiuti.” Il suo volto aristocratico non mostrò alcun segno di aver sentito quello che aveva detto Elizabeth pochi istanti prima, eppure doveva averla udita.

Appoggiandosi al suo bastone, con un marshmallow infilzato a una estremità, Elizabeth li guardò male. “Chi siete, le SS? Sono appena arrivata, e ci resto.”

“Non penso proprio.” Julian si fermò accanto a Isabelle. Guardando il resto del gruppo, annunciò: “Finite i drink, sfigati. È quasi l’una. Stiamo tutti per trasformarci in zucche.”

Gli altri brontolarono, ma cominciarono a muoversi, sapendo che aveva ragione.

C’era qualcosa di autorevole in Julian, pensò Isabelle. Qualcosa che induceva le persone ad ascoltarlo. Poteva prendere esempio e farlo anche lei.

Con la coda dell’occhio, notò due persone sgattaiolare fuori dal castello. Vide la testa scura di Raj e i lunghi capelli biondi di Caroline catturare la luce del fuoco e trasformarsi in oro. Lui teneva il braccio intorno alle sue spalle, e lei gli stringeva la mano. Anche se li aveva visti di sfuggita, sembravano felici.

Ignorando il ghiaccio che la gelava dentro, si costrinse a concentrarsi per far alzare Elizabeth.

“Dai, Lizzie,” disse, tirandola su. “Dobbiamo andare. È tardi.”

“Sono appena arrivata,” obiettò Elizabeth, ma lasciò cadere il bastone e si alzò sui piedi incerti.

“Bene.” Julian afferrò il gomito sinistro di Elizabeth, mentre Isabelle le mise il braccio intorno alla vita dall’altra parte, e cominciarono a dirigersi attraverso le rovine verso il sentiero.

“Voglio restare!” protestò Elizabeth, cercando di tornare indietro. Ma loro la tenevano saldamente, sostenendola verso la sicurezza della scuola.

“Questa notta non è andata come mi aspettavo”, disse Isabelle, più rivolta a se stessa.

Sopra la testa di Elizabeth, Julian le rivolse un sorriso enigmatico. “Questo è il problema dei falò, sono sempre un po’ strani.”

Gli piaceva davvero? Elizabeth era un’impicciona, ma non si sbagliava mai su quel genere di cose. Si riferiva a lui quando, quella sera, le aveva detto di non stare ad aspettare Raj?

Fu sorpresa di non essersi mai accorta prima dell’interesse di Julian, ma dopotutto, era il tipo che nascondeva facilmente le sue emozioni.

Isabelle si chiese se potesse piacergli tanto quanto a lei piaceva Raj. Sperava di sì, perché era stanca di essere ignorata.

Per un po’ , furono impegnati a guidare Elizabeth attraverso l’apertura nell’arco di pietra delle mura e lungo il sentiero. Lontano dal calore del fuoco e dal flusso costante di alcol cominciava rapidamente ad addormentarsi, costringendoli a tenerla in posizione verticale e a muoversi.

“È piccola per essere così pesante,” osservò Julian, guardandola.

Isabelle, ansimando dallo sforzo di sostenerla, replicò: “Ti avrebbe ucciso se avesse sentito quello che hai detto.”

Questo lo fece ridere. “Se mai lo scoprisse, avrebbe ragione.”

Ci fu una breve pausa intanto che seguivano il percorso tra gli alberi, dove la luce della luna formava ghirigori elaborati sul terreno della foresta.

“È un peccato che tu non sia arrivata prima,” disse Julian, guardando avanti. “Elizabeth poteva anche essere ubriaca, ma aveva ragione su una cosa. Avevo davvero intenzione di chiederti un appuntamento”.

Allora aveva sentito. “Ah sì?”

“Sì. L’ho pianificato per secoli. Ho pensato… beh, speravo che la luce della luna potesse tornare a mio favore. Romanticismo e tutto il resto.”

Arrossì e fu contenta che fosse buio.

Non sapeva cosa fare. Amava qualcun altro, ma accanto a lei c’era un ragazzo alto e giudizioso che le confessava apertamente di essere interessato a lei. A rivolgerle le parole che Raj non aveva mai detto.

Forse era arrivato il momento di smettere di aspettare e dare inizio a qualcosa di nuovo.

Si schiarì la gola. “Beh, eccoci qui al chiaro di luna,” disse, spostando la presa sulla vita di Elizabeth. “Dovresti chiedermelo.”

Nella luce blu pallido, vide le sue labbra curvarsi. “Isabelle,” disse, “vuoi uscire con me?”

“Mi piacerebbe”, rispose, cancellando ogni pensiero su Raj dalla sua mente.

“È bellissimo”, biascicò Elizabeth.

“Sarebbe il momento perfetto per baciarti, ma …” Julian indicò Elizabeth con la mano libera. Le loro risate nascosero il rumore di passi in avvicinamento, così entrambi sobbalzarono quando Nathaniel spuntò fuori dall’ombra camminando verso di loro. Veniva dalla direzione della scuola.

Isabelle era confusa. L’ultima volta che lo aveva visto era stato vicino al falò.

Ora, sembrava strano, teso e pallido, con ogni muscolo del suo corpo tirato come una corda.

“Cosa…” iniziò, ma lui le parlò sopra. “Isabelle, dobbiamo tornare a casa”, disse. “Ora.”

I suoi occhi intensi erano fissi su di lei. Non sembrava aver notato la presenza di Julian o di Elizabeth, accasciata tra di loro.

Lei lo fissò, sconcertata. “Mi dispiace, non capisco… A casa?”

“È successo qualcosa.” In qualche modo, le sue parole sembrarono così spaventose che si ritrovò a lasciare andare la sua sorellastra.

Julian si fermò, tenendo la semi-cosciente Elizabeth in posizione verticale, e guardò Nathaniel con la massima attenzione con cui osserveresti un serpente.

“Nathaniel.” La voce di Isabelle assunse una nota di calma soprannaturale che le usciva sempre quando aveva paura. “È la mamma? È ferita? Dimmelo.”

Elizabeth, forse captando la situazione attraverso la foschia di alcol, borbottò qualcosa, ma Isabelle non la guardò. I suoi occhi erano fissi su Nathaniel che tremava.

“Non è lei”, disse, lottando per trovare le parole. “È papà.” Con mani serrate ai lati, prese un respiro profondo e la guardò dritto negli occhi.

“Il suo aereo è scomparso.”

Link del capitolo originale

Scritto da: Christi Daugherty

Tradotto da: Ellie per Night School Italia.

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